Per la valle del fiume Tordino sulla Cima di Monte Spaccato

La Laga dal versante teramano, il Borneo italiano


Non smetterò mai di rimarcare quanto sia utile ed anche importante l’esistenza del Club2000, almeno per quelli come me che sono un po’ pigri, che non sono nati in montagna o vicina ad essa, che faticano a prendere quella cultura indispensabile per approfondire la conoscenza del territorio e con questa l’amore verso la montagna stessa. E’ stata quella di oggi una escursione nata cavalcando l’onda del Club2000, nata per inseguire la Cima di monte Spaccato, new entry della collezione; è questa la cimetta che si eleva subito prima del Gorzano, sulla cresta che dal Lepri viaggia verso il Gorzano stesso. Pochi erano i tratti di cresta della Laga che non avevo calpestato, questa montagna sta esattamente nel breve tratto che non ho mai battuto, ed allora toccava porci rimedio; al di là che un ritorno in Laga, che dopo tanto tempo è sempre un piacevole modo di vivere la montagna, volevo che non fosse solo una ripetizione, che non fosse la solita partenza da Capricchia, che non fosse semplicemente e solamente una spunta della lista. Ho preso l’occasione per studiare come una volta e cercare di capire come arrivarci dal versante opposto, da quello teramano, che davvero ho frequentato poco e conosco ancora meno; è bastata una carta, individuare la montagna e capire quale fosse il punto di attacco più semplice. Da Padula siamo partiti, nel comune di Cortino, per la valle del fiume Tordino. Ma andando per gradi, visto che l’escursione a parte il cospicuo dislivello di 1370 mt, è di quelle molto lineari e semplici, la difficoltà più grossa, quasi un’avventura, è stata raggiungere proprio Padula. Da Ascoli Piceno, dove mi trovavo, avevo pensato e sapevo che fosse semplice raggiungerla, un po’ di stradine contorte ma in meno di un’ora si doveva arrivare a Padula; così è normalmente, purtroppo non in questo momento perché la strada che da Ascoli sale per valle Castellana e che si prende direttamente in città, poco lontano dal centro, ad un certo punto è interrotta. La strada lungo la valle è già tortuosa per suo conto fin dall’inizio, ma scorre veloce, poi si infila nel cuore della Laga teramana, si attorciglia su se stessa, raggiunge quello che potremmo chiamare il capoluogo, appunto Valle Castellana, lo attraversa e continua fino a raggiungere un agile crinale per scendere sul versante opposto, verso Paranesi e quindi Padula. Il fatto è che il questo momento la strada che sale a questo crinale è per un tratto franata, quattro chilometri dopo Valle Castellana è interrotta, per cui non si può far altro che tornare indietro. Il vero dramma non è tanto per la viabilità, cui una lunga deviazione contorta è in grado di porre rimedio, ma è per gli abitanti di Fornisco, una piccola frazione, che per almeno un chilometro non possono raggiungere il paese, sono costretti a lasciare la macchina prima dello sbarramento e se la fanno a piedi. Almeno per loro c’è da augurarsi che la provincia di Teramo tamponi in fretta la falla. La deviazione dal capoluogo è per Ceppo, diciotto chilometri di strada tortuosa, che sale ai 1300 metri di Ceppo dopo una serie infinita di curve, di tratti dissestati, alcuni anche pesantemente. Da Ceppo si riscende contorcendosi intorno ad un groviglio di curve e di montagne boscose, insomma per fare meno di cinquanta chilometri ci abbiamo messo un’ora e mezza! La cosa è stata da un lato davvero interessante, per la prima volta mi sono trovato immerso “consapevolmente” nella Laga abruzzese, quella zona boscosa che si stende ad Est della dorsale principale della Laga tra la Salaria e la SS80 che scende dal passo delle Capannelle. Montagne incasinatissime, boscosissime, strade e stradine che si perdono senza segnaletica agli incroci, paesini minimi, nemmeno quasi riportati sulle mappe, Morrice, Pietralta, Alvelli, Riggio, Tevere che è formato da solo 3 case ma due cartelli di inizio e fine contrada, Lame, sono solo alcuni di quelli che abbiamo toccato; gli orizzonti sono vietati dal corrugatissimo e boscosissimo territorio, incredibile avventura l’avvicinamento a Padula. Il Vietnam dell’Italia Centrale, qualcuno l’ha definito il Borneo di casa nostra e devo dire la definizione è del tutto pertinente. Se la guardi distrattamente questo versante sembra una zona inaccessibile, inesplorata, anche inospitale, raccoglie invece alcune delle cascate più belle della Laga, quella della Volpara, della Morricana, del Tordino che andremo a visitare e delle Cento Fonti solo per citare quelle principali. Un po’ in ritardo rispetto a quanto previsto riusciamo comunque ad arrivare a Padula, non si entra dentro il paese, si continua sulla strada che gli sfila sulla destra verso Macchiatornella (non aspettatevi segnaletica) poco più di un chilometro si vira su un tornante molto marcato, su un ponte, sotto scorre il fiume Tordino; subito dopo il tornante, prima di uno successivo che gira avvitandosi dalla parte opposta, sotto il paese di Macchiatornella, si apre il guard rail e sulla sinistra c’è uno spiazzo per parcheggiare, siamo a quota 975 mt. Un palo segnaletico al limitare del parcheggio indica il sentiero che inizia dalla parte opposta del parcheggio, sul lato sinistro dello sperone che domina il tornante stesso. Sopra lo sperone alla prima bandierina bianco rossa occorre proseguire diritti, ci si può far ingannare dal sentiero che vira a sinistra, più largo, ma che si perde nella boscaglia. Questo che percorriamo, sempre ben segnato, fa parte del Sentiero Italia, più avanti incrocia il sentiero n° 341 che inizia invece nei pressi del primo tornante a destra del ponte e del fiume Tordino. Ci troviamo sulla sinistra del fiume, subito alti rispetto alla strada asfaltata e rispetto al letto del fiume stesso; si entra nel bosco, si superano alcun piccoli fossi fino a raggiungere dopo circa 30 minuti il ponte Flammagno (1050mt), sotto scorre il Tordino. Poco avanti riprendiamo il sentiero CAI 341 e continueremo sul versante destro del fiume, non prima, è un mio consiglio, di fare visita alla nascosta cascata Cantagalli, soli cinque minuti di deviazione, un cartello segnaletico subito dopo il ponte vi darà la direzione. Il sentiero si inerpica su stretti tornanti, una ventina di minuti e un altro cartello indica località Le Macere a 1145 mt, qui il sentiero si biforca e i due nel primo tratto continuano quasi paralleli; occorre fare attenzione a seguire quello a sinistra che sale, sempre il CAI 341, per il rifugio della Fiumata; ma non ci sono grossi problemi di orientamento, state tranquilli, un bel palo segnaletico vi guiderà. Continuando per un sentiero sempre molto evidente e ben segnato si raggiunge dopo un’ora circa dal ponticello il rifugio Enel Tordino, crocevia di sentieri. Prima di arrivare al rifugio, sulla sinistra una traccia conduce al fiume, dove l’acqua scorre veloce in un tratto lastricato proprio sotto la montagna. Non ci possiamo concedere la deviazione, la nostra meta è lontana, per cui oltrepassiamo il rifugio prendendo il sentiero che lo scavalca alla spalle. Dalla parte opposta a sinistra, un sentiero meno evidente e sempre ben segnalato conduce lo stesso al rifugio della Fiumata, lo useremo per il ritorno. Dopo due ore dal ponticello usciamo finalmente dal bosco, che se pur bellissimo, iniziava un po’ ad annoiare; si apre luminosa, imponente ed intensa di un verde lussureggiante la testa della valle del Todino, in evidenza sulla sinistra le coste della Cimata che con pendenza costante raggiungono la vetta del Gorzano. E’ questa la costa che insieme a quella delle Troie sull’altro versante verso Sud delimita il piano che dal Gorzano scende verso il teramano. Nel mare di verde intenso dopo pochi passi compare il rifugio della Fiumata, una posizione splendida nel mezzo di una valle su cui confluiscono una serie di fossi, solo quello del Tordino ancora carico d’acqua. Ci riposiamo al rifugio, è vissuto, ci hanno passato la notte un folto gruppo di persone che sono per altro già scese dal Gorzano. Davanti c’è tutta la testa della valle e si delinea già bene la Cima di Monte Spaccato là nel mezzo della cresta. Il Gorzano è nascosto da una sorta di anticima, raggiungerlo per la costa della Cimata significherebbe allungare molto il percorso, mi piacerebbe ma scegliamo di inoltrarci nella valle e di raggiungere monte Spaccato affidandoci al nostro intuito. Non c’è un sentiero vero e proprio se non quello scialpinistico che ci sposterebbe molto sulla destra, verso il Pelone. Seguiamo alcune tracce di calpestio tra l’erba, scendiamo nel piano della conca a fianco al Tordino che scorre rumoroso, raggiungiamo la presa d’acqua che si trova dalla parte opposta del fiume e da lì iniziamo a scontornare salendo i primi risalti erbosi. Scegliendo di volta in volta linee più opportune ci portiamo sopra l’ampia dorsale, da qui è netto il percorso del Tordino fin dalla sua sorgente nel mezzo delle coste dell’anticima, rocciose e verticali, del Gorzano; uno stretto scivolo scalinato tra i prati d’alta quota che fa schiumare il filo di acqua che scende veloce. Dalla parte opposta, verso Nord, la costa netta che scende dal Pelone, a formare una ripida scarpata, chiude la valle, abbiamo fatto bene a non seguire l’idea di raggiungere il Pelone attraverso la “pratura grande”, avremmo solo allungato di molto il percorso. Qualche fosso scontornato, qualcuno superato entrandoci e qualcun altro usato come sentiero, non ci accorgiamo nemmeno di essere saliti di quota, lo capiamo quando iniziamo ad intravedere l’omino di vetta del Gorzano ed il suo spigolo che scende verso la sella sotto monte Spaccato. In alto i fossi non sono più profondi, per linee morbide arrivo in cresta nei pressi di una sella quattro ore dopo la partenza, una quindicina di minuti per superare altre due piccole cime e per arrivare su quella di monte Spaccato. Sull’omino di vetta qualcuno ha riportato il nome e la quota della montagna; superba è la vista su entrambi i lati, dal Gorzano al Lepri e verso Est fino al mare, dove una frangia di grossi nembi nuvolosi incornicia il paesaggio come nemmeno un paesaggista del livello di Isaak Levitan saprebbe fare. Mi dilungo in qualche foto , in qualche panoramica, sono certo che le nuvole che frastagliano il cielo mi regaleranno belle immagini. Mi accingo a ritornare sui miei passi quando stanno per arrivare in vetta, dal versante di Amatrice, un gruppetto di quattro. Come sempre è facile fare amicizia in montagna e, come da un po’ di tempo a questa parte succede spesso, si finisce per incontrare persone conosciute sul web per via del Club2000. Stavolta è Remo Zavarella col suo cappello da cow-boy, è accompagnato dalla sua compagna e da una coppia di amici, e come tutte le altre volte è bello accorgersi di come si riesca a sentirsi vicini e accumunati per via della nostra passionaccia e della nostra associazione. Peculiarità del Club2000. Loro dovevano continuare verso Nord, il tratto di sentiero verso il Pelone è in comune, lo percorriamo insieme; intanto Remo mi fa sapere che Giuseppe Albrizio stava convergendo sul Gorzano e che dalle parti del Pelone doveva “vagabondare” Claudio Carusi; sapevo io che Davide Schinzari ed altri si stavano spazzolando le vette intorno al Sevo, insomma il laghismo sembrava stesse tornando di moda. Ancora la forte realtà del Club2000, davvero un incredibile volano per diffondere la passione verso la montagna, spero e conto che serva anche a veicolare e diffondere cultura e rispetto. Tanto è che mentre procediamo verso il Pelone incontriamo gente in cresta che procede in senso contrario, noi siamo a metà costa, basta urlare il nome di Claudio che lui si affaccia. Ancora un bell’incontro. Mi piace che accadano questi incontri casuali, un tempo in montagna si era soli, non si incontrava nessuno, sulla Laga poi . . . Ci congediamo da Claudio, mi congedo da Remo sulla sella da dove ero salito e riprendo verso valle, cercando di non sbagliare fosso e cercando di scegliere la via più facile per incontrare Marina che mi attendeva nel suo bivacco improvvisato a metà valle. Un fosso per un altro l’ho preso invece, sono tutti uguali, per fortuna qualcosa non mi tornava in ciò che avevo intorno e con una deviazione ho corretto la via di discesa fino a beccare quello giusto. La raggiungo mentre il cielo si va coprendo ed il venticello che non ci ha mai abbandonato da brezza piacevole diventa fastidio petulante. Come dicono i vecchi “in discesa ci vanno anche i cocomeri” , prati erbosi e fossi si superano di slancio, in un’ora ed un quarto siamo oltre il rifugio della Fiumata e stiamo entrando nel bosco. Il vento si placa tra gli alberi, seguiamo le bandierine frequenti, la discesa ci aiuta; non sappiamo come, ma quasi subito il sentiero non ci è più familiare, di certo non è quello dell’andata. Eppure stiamo seguendo i segnali del CAI, a dire il vero anche delle bandierine giallo-rosse sbiadite che si alternano a quelle bianco-rosse; il pendio andava aumentando e con la pendenza anche le svolte si facevano frequenti, anche il fracasso dello scroscio del Tordino andava aumentando e ad un certo punto anche la spumeggiante rincorsa dei salti d’acqua lungo lo scivolo d’arenaria si intravedevano tra la boscaglia. Nessun dubbio sulla direzione di questo sentiero, la valle ha un unico sbocco, eravamo curiosi di capire dove ci avrebbe fatto uscire, anche se ce lo immaginavamo, e soprattutto, anche se non avremmo mai potuto darci risposta se non risalendo, ci chiedevamo dove avevamo abbandonato il vecchio sentiero per prendere questo. Molto bello comunque, da consigliare anche in salita, alla fine converge al rifugio Enel del Tordino. E’ quel sentiero che dal rifugio stesso inizia alla sua sinistra, i segnali si possono trovare solo sugli alberi, non esistono cartelli che lo indicano. Risaltiamo da un fosso all’altro, il canto dell’acqua non ci lascia quasi più, è una passeggiata ritornare alla macchina. Meno passeggiata è il viaggio di ritorno, per lo stesso motivo dell’andata, la strada franata , abbiamo due scelte, o dirigerci verso Teramo, ma i chilometri si sarebbero allungati di molto, o ripercorrere a ritroso la strada fatta la mattina. Scegliamo la seconda ipotesi, ormai conoscevamo meglio il tragitto da fare , eppure . . . non abbiamo avuto nessun problema fino a Ceppo, ma dopo, in un paio di incroci qualche dubbio c’è stato, una volta siamo tornati indietro ed una richiesta di aiuto ad un indigeno è stata indispensabile: “Scusi, per Valle Castellana andiamo bene?”. Si eravamo nella giusta direzione, è stato però importante chiedere una conferma, la consapevolezza di non dover tornare indietro per quei labirinti era una bella sensazione, continuando si arrivava a Valle Castellana, qualche strettoia causa pezzi di strade franate e poi diritti, si fa per dire, a casa; questo territorio è davvero “una Cambogia”, affascinante, ma una nostrana Cambogia in cui perdersi o girare a vuoto non è poi così difficile. E pensare che conosco montanari, anzi oggi veri alpinisti, che tra questi boschi e queste montagne, sarebbero capaci di non perdersi anche bendati. Vabbè, altra storia, non c’era il Club2000, c’erano altri motori, questi montanari, da ragazzini, giocavano e passavano il tempo tra questi fossi, questi montanari sono diventati alpinisti perché sulle montagne ci vivevano tutto il giorno ed ogni momento che potevano. Facile no?